Un Hikikomori, un carcerato e un eremita del mare si incontrano su una frequenza radio in una notte di. .
. no, iniziamo dal principio.
Sono un radioamatore. Molti pensano che i radioamatori siano quelli che negli anni Ottanta usavano una radiolina con un’antenna per giocare a parlare in codice; altri che siano dei camionisti, per il semplice fatto che in alcuni film vengono ritratti mentre parlano e stringono in mano un microfono.
Sono esempi paragonabili all’essere radioamatore come una lampadina al sole: entrambi trattano gli stessi elementi (le onde radio e la luce) ma si tratta di cose ben diverse. Ho iniziato a utilizzare le radiocomunicazioni alla tenera età di otto anni, nove mesi e quattordici giorni, ho schiacciato per la prima volta il pulsante alla sinistra del microfono, e da quel momento il mondo si è messo in ascolto.
Quando il mio primo corrispondente mi ha comunicato di aver ricevuto la chiamata e ha concluso il passaggio di trasmissione pronunciando il mio nome in codice, un brivido mi ha attraversato la schiena fino al braccio destro, drizzando la scolorita e rada peluria di pesca di allora. Fu una chiamata breve e incerta.
Con una piccola radio di debole potenza, sintonizzata sul canale venti in ampiezza modulata, la mia voce poteva raggiungere solo pochi isolati di distanza, ma ugualmente avevo la sensazione che chiunque sul pianeta in possesso di una radio potesse ascoltare la mia voce. In quegli anni non esisteva Internet e nemmeno i telefonini.
Le frequenze, invece, erano piene di giovani e meno giovani. La radio era un mezzo potente e diffuso, e tutti potevano crearsi un personaggio.
Credo che la radio, specie la banda cittadina, fosse a quei tempi la bisnonna di tutti i social network odierni. Quando ho iniziato ad armeggiare con l’apparecchio radio di mio zio ero troppo piccolo per avere un attestato legale che mi conferisse il permesso di usarla.
L’idea di fare qualcosa a me proibito, usando niente meno che un nome in codice, era quello che rendeva così affascinante ai miei occhi questo mezzo di comunicazione. Spesso capitava di sentire tre persone conversare tranquillamente, su un canale; e il giorno seguente, in base ai commenti degli amici, scoprire che ce n’erano state almeno altre trenta ad ascoltare.
Non sapevi mai chi davvero fosse in ascolto. In tempi moderni, tutto è cambiato: la banda cittadina è quasi del tutto scomparsa, e chi ancora coltiva la passione per le telecomunicazioni si è aggiornato e ha preso la patente da radio operatore ufficiale, abbandonando quella vecchia frequenza locale da dove tutti siamo partiti.
Anche io, dopo mesi di studi, esami scritti, autorizzazioni, alla fine sono riuscito a farmi assegnare una licenza internazionale da radio operatore. Il mio nominativo univoco ministeriale è IZ1TSR: un codice che, detto così, sembra casuale ma che corrisponde in realtà a una sequenza identificativa ben precisa.
Non sono qui per parlare del mio passato, però, ma per testimoniare una serie di eventi accaduti in onda tra i mesi di maggio e novembre del 2018. Durante questo periodo, sono infatti stato ascoltatore di varie conversazioni tra tre persone incredibili, l’una agli antipodi dell’altra.
Vorrei poter descrivere quanto segue come un cronista imparziale ma mi sarà difficile: quello che ho avuto modo di sentire ha dello stupefacente, e proprio per questo mi sento in dovere di raccontarlo. Tutto inizia quando un carcerato, un hikikomori e un eremita del mare, si incontrano apparentemente per caso sulla frequenza radio.
I tre improvvisati operatori sono i detentori inconsapevoli di un tesoro nascosto, che ha rivelato al mondo il vero significato di libertà, il carcerato è dentro ma vuole uscire per essere libero, l'hikikomori è libero di uscire ma vuole stare chiuso dentro, e l'eremita del mare è liberamente fuori ma rinchiuso in una gabbia galleggiante, grazie alla somma di tre vite, oggi possiamo definire la libertà assoluta. .