Nel momento in cui mia mamma è scomparsa, la mia vita è cambiata drasticamente. Il mondo ha perso ogni possibile significato e il dolore ha coperto ogni suo aspetto.

Per anni ho danzato con la morte, tramite la danza butō, ma l’esperienza del lutto ha illuminato con una luce diversa ogni mio gesto. Di fronte al dolore, infatti, mi sono posto domande a cui non avevo mai tentato di rispondere.

Com’è possibile sopportare il dolore di un lutto? Che senso ha la morte? Oggi, due cose sembrano certe ai nostri occhi: nasciamo e moriamo. E questo destino dell’umanità appare incontrovertibile.

Quindi, non soggetto a errore. Eppure, se andiamo alla radice di queste parole (destino, incontrovertibile, errore, apparire) arriveremo a mettere in discussione quella certezza iniziale per cui siamo soliti dare per scontato il significato di nascere e morire.

Ci perdiamo decisamente qualcosa, nella nostra interpretazione delle cose, se non guardiamo in faccia la vita e la morte con lo sguardo della filosofia. E se questo sguardo mostrasse un senso inaudito della vita e della morte? Se mostrasse la contraddizione che si cela dietro al pensiero che vuole un destino mortale per l’umanità? Ciascuno di noi muore in relazione al modo con cui concepisce il senso della morte.

La filosofia testimoniata dagli scritti di Emanuele Severino, in particolare, ci avverte che, se intendiamo la morte come un tornare nel nulla, come un annientamento, il dolore e l’angoscia si fanno estremi. Lettere a mia mamma è un libro dedicato a chi, come me, si è trovato investito dal dolore e cerca una risposta sul senso della morte guardando alla filosofia.

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